Cosa dirà la gente. Oltre la violenza sulle figlie, dentro le scelte dei padri.

Lo scontro tra culture non è soltanto un problema di migranti e paesi ospiti nella sua forma più cruenta, è anche un dissidio interiore di chi lascia la propria terra per una “terra promessa”, vissuto nell’intimità di vecchi e giovani, di uomini e di donne, di padri e, di conseguenza, delle figlie. Proviamo a dare del film una lettura fuori dal coro, dentro le ragioni del padre.

 

cosa dirà la gente

Leggerete nella trama dei magazine e, dal 3 aprile scorso, dei palinsesti Sky, che questo film  è la storia di Nisha (Maria Mozhdah), sedicenne pakistana, figlia di emigrati e residenti in Norvegia. Ma non è la storia di Nisha. Forse è la storia della regista Iram Haq, rapita dai genitori a 14 anni e portata per un anno e mezzo in Pakistan,  che ha tentato di esorcizzare il suo vissuto personale scrivendo la sceneggiatura del film. Ma no, non è neanche la storia di Iram. Non è la storia di una figlia. È piuttosto la storia di un padre, del padre di Nisha (Adil Hussain), le cui intenzioni e azioni ricadono come colpe sulla vita della figlia.

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Il personaggio che subisce un percorso emotivo e di trasformazione nel film è il padre, non la figlia. Non a caso è lui che apre il film ed è lui che lo chiude. È l’ultimo ad andare a dormire nella scena iniziale e in quella finale; nel suo bisogno di controllare che tutti stiano bene, forse il padre vive la notte più della figlia, che di notte esce di nascosto e vive una seconda vita. Sì, Nisha, come tutte le adolescenti di un certo tipo (quelle belle e brave a scuola e soprattutto con genitori presenti e autorevoli, se non autoritari), ha una doppia vita: di giorno e in casa è figlia, di notte, e fuori dal controllo parentale, vuole diventare donna. E mente. Mente per poter essere, in questa doppiezza, tutta se stessa.

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Nisha ha sedici anni, gliene succedono di tutti i colori, ma ha sempre sedici anni e una grande voglia di vivere e di affermare la propria identità; Nisha è la stessa dall’inizio alla fine del film, ripete anche i suoi errori più volte, a sottolineare quanto in lei i suoi sedici anni siano totalizzanti rispetto a qualsiasi altro processo che relega la vita a una digestione di traumi. Il padre di Nisha, invece, cambia. Parla pochissimo, ma agisce a determinare il futuro della figlia, per poi tradire con quelle stesse poche parole, il suo dissidio interiore che sarà il motore del cambiamento finale. Quello che vive dentro di sé il padre di Nisha è il conflitto culturale tra Occidente e Oriente, tra culture “senza Dio” e culture timorate di quel che dirà la gente, più che di un qualsiasi dio, mai pregato o nominato durante il film, ancorate piuttosto a ritualità di comunità. 

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Nisha vuole essere come i suoi compagni, adolescenti norvegesi che vanno a ballare in discoteca fino a tardi, bevono e pomiciano-come-non-ci-fosse-un-domani. Anche il padre vuole essere come gli altri,  come i suoi conterranei emigrati e come vuole la moglie, ma al contempo come i norvegesi, che possono offrire libertà di scelta e di vita ai loro figli. È questo che l’ha portato ad emigrare, con tutti i sacrifici che ha comportato: la volontà di offrire un futuro migliore ai propri figli, compresa Nisha. Quindi, come si può essere l’uno e l’altro, pakistano e norvegese, quando il pregiudizio reciproco è così radicale?

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A vivere come questi idioti di occidentali finirai soltanto per diventare una matta, morirai di solitudine, lo capisci questo?” Questo paventa il padre a Nisha, mentre la sta rapendo per portarla a Islamabad, come punizione esemplare e che sia anche “istruttiva”.

Ma sarà poi a Islamabad, quando si dovrà rimediare alla seconda “onta” che Nisha inferisce alla propria famiglia, che il padre, in cima a una scogliera dove la porta con l’inganno le grida: “Fallo! Buttati!”. Lui non può uccidere la figlia nonostante la vergogna, deve farlo da sola, facendo inconsapevolmente il verso a quella “solitudine” degli occidentali. Ma non è l’Occidente ciò che ha fatto ammattire Nisha, è l’amore, che non conosce confini culturali e … quando arriva, arriva!

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Il padre pensa alla morte, la figlia all’amore. Nisha è una Sophie Marceau pakistana, che anche in Pakistan vive le farfalle allo stomaco di quell’amore tenero ma anche carnale che alla sua età è inevitabile. Nisha è identica alla Vic de Il tempo delle mele (1980), che sicuramente Iram conosce, quando quel ragazzo che prima ti ha riempito di taciti sguardi, ti mette all’orecchie una cuffietta per ascoltare insieme una canzone.

Figlia e padre sono ai poli di una diade mitologica: Eros e Thanatos. Ma anche ai poli di un mito biblico: Abramo e Isacco. Quell’Abramo che cerca la Terra Promessa e deve sacrificare il proprio figlio in missione per la sua comunità. Insomma, di là dalle coincidenze di cronaca e dalle riflessioni su donne e minori nei costumi dei migranti, Cosa dirà la gente è una storia drammatica universale, che del terzo millennio ha solo la tecnologia.

/// il trailer ///

 

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