Esattamente a tre anni di distanza dall’uscita di “Vizio di forma” è arrivato nelle nostre sale il nuovo ed attesissimo film di Paul Thomas Anderson, candidato a 6 premi Oscar. Stando alle dichiarazioni dallo stesso attore, il film dovrebbe segnare l’addio alle scene di Daniel Day Lewis, che proprio sotto la direzione di PTA aveva conquistato nel 2008 il secondo dei suoi tre Oscar per l’interpretazione de “Il petroliere“.
Londra, anni ’50, la casa di Reynolds Woodcock è un grande atelier dove gli abiti da lui disegnati prendono forma grazie al lavoro di un gruppo di donne che ogni mattina sale lungo lo scalone che ne attraversa i piani fino a raggiungere la sartoria. La meticolosità con cui nei primi minuti del film si compiono i gesti ci dà la misura della cura con cui ogni cosa viene realizzata dentro quelle mura.
Reynolds si infila le calze, la sorella Cyril apre gli scuri, le sarte indossano i loro camici: ogni gesto sembra essere parte di una coreografia che si ripete ossessivamente ogni mattina. Tutti sembrano farne parte. Tutti tranne una, Johanna, l’ennesima donna che Reynold ha portato dentro casa e di cui non vede l’ora di sbarazzarsene. Il momento della colazione, sempre rivelatorio dell’umore di Reynolds, merita un discorso a parte, ma aspettiamo che irrompa sulla scena Alma per tornare a parlarne; ora prendiamo frettolosamente congedo da Johanna (il suo film finisce qui) e proiettiamoci nella sala da pranzo di un grazioso motel sulla costa.
Ecco Alma: il suo sorriso illumina la scena, la sua goffaggine fa subito tenerezza, non solo a noi ma anche a Reynolds; quell’uomo solitamente austero sembra sciogliersi davanti alla ragazza che serve la colazione ai tavolini del motel. Lui prova a renderle la vita difficile pretendendo, per gioco, che tenga a mente la lunga lista di ordinazioni che le ha fatto; lei, se ancora ce ne fosse stato bisogno, conquista il suo cuore definendolo “the hungry boy” e allungandole un bigliettino su cui è scritto: “my name is Alma”, puro come l’innocenza del suo sguardo, delicato come il soffio dell’anima.
L’idillio è ormai scoccato, ma cos’altro nasconde la personalità di Alma? Reynolds le toglie il rossetto con un tovagliolo inumidito: “mi piace vedere con chi sto parlando”, lei, guardandolo negli occhi e seguendo un registro scherzoso ma non troppo, gli dice: “se vuoi fare una gara di sguardi con me, perderai”. Alma ha calato subito le sue carte in tavolo: dolcezza si, ma anche tanta determinazione ed una buona dose di astuzia. Proprio quello che serviva per scardinare il cuore di Reynolds. Ad Alma non resta ora che conquistarsi un posto a corte, nella (affettivamente) blindatissima dimora dei fratelli Woodcock. Che la sfida abbia inizio!
PTA (che bello scrivere di un regista universalmente noto con il suo acronimo) nelle sue storie ha sempre avuto una particolare predilizione per i giochi di potere e per quegli strani incroci tra complicità e rivalità; impossibile non ripensare a Daniel ed Eli ne “Il petroliere”, ma soprattutto a Freddie Quell e Lancaster Dodd in “The master”. Le dinamiche sono sostanzialmente le stesse ma stavolta PTA rinuncia alla narrazione di eventi di grande portata storica, la scoperta dei giacimenti di petrolio o la nascita di una setta religiosa, per chiudersi dentro una grande casa-atelier e raccontare il bisogno di esercitare il potere ed il controllo all’interno di un rapporto amoroso.
Altro elemento che ha quasi sempre caratterizzato il cinema di PTA è la solitudine dei suoi personaggi, anche i protagonisti di “Magnolia” come il goffo Barry di “Ubriaco d’amore” sono limpidi esempi di quello che è uno stato dell’anima più che una condizione affettiva o sociale; non fa eccezione in tal senso Reynolds che tende a radicalizzare il suo isolamento. Per comprenderlo meglio torniamo per un attimo a quel tavolo rotondo dove ogni mattina si consuma la colazione: il modo talvolta anche brusco con cui reagisce ad ogni minimo movimento di Alma è certamente l’indizio del rigore che mette nel lavoro e della costante ricerca di concentrazione quando ha in mano una matita, ma è anche la chiara espressione della “distanza” che cerca di mantenere tra se ed Alma, tra se ed il mondo. La solitudine di Reynolds è molto simile a quella del petroliere perchè più che subita sembra essere auto-imposta.
Cyril, sua sorella, è figura ingombrante all’interno della casa, una sorta di estensione di quella materna da cui Reynolds non ha mai tagliato il cordone ombelicale e che ora si porta addosso attraverso una ciocca di capelli cucita nella fodera della giacca. Lo stesso espediente che usa per tenere ogni sua creazione sartoriale legata a se attraverso tracce segretamente lasciate all’interno dei vestiti. Il filo nascosto (che in originale è più correttamente un “filo fantasma”) è proprio quello che cuce questo misterioso legame.
Alma diventa rapidamente la sua musa, creare vestiti per lei è uno stimolo completamente nuovo ed affascinante, lasciarle indossare gli abiti è un’ostentazione di eleganza diversa da quella che pure gli donano gli esponenti dell’aristocrazia londinese e le teste coronate che abitualmente popolano la sua casa. La fierezza con cui la giovane donna va a porgere il suo saluto alla principessa del Belgio che non l’aveva degnata di attenzione all’ingresso nell’atelier è l’ulteriore prova di come lei voglia giocarsela alla pari con tutti. Nel sottolineare “io abito qui” rivendica il suo ruolo speciale all’interno della casa che non va confuso con quello delle altre donne dello staff.
PTA, che per creare il personaggio di Reynolds si è ispirato alla figura di Cristobal Balenciaga, lo stilista spagnolo considerato l’architetto dell’alta moda, ci ha abituati da sempre a confezioni cinematografiche ricche ed eleganti. In questo caso il discorso si eleva e procede in parallelo con le creazioni firmate Woodcock. I costumi sono naturalmente degni delle migliori sfilate, ma ad essi si abbina la straordinaria eleganza degli interni. In un film che fa del tessuto e dei suoi colori una precisa forma di linguaggio, non si può non trovare seducente il dialogo che i nostri occhi instaurano con le tappezzerie della casa. Tutto il resto è un autentico prodigio firmato da PTA che muove poco la macchina da presa regalandoci una successione di quadri di infinita bellezza, ma quando lo fa sembra compiere una vera e propria danza, soprattutto nelle scene in cui ci accompagna nell’ascesa dello scalone.
“Il filo nascosto” può essere considerata un’opera multisensoriale e, se abbiamo la sensazione che quei tessuti si riescano a toccare, i profumi della cucina arrivano fino in sala quando Alma da cameriera di un motel si trasforma in regina del focolare. Che non ci sia concesso esercitare il senso del gusto evidentemente non è un male (per la comprensione di questa affermazione il rimando alla visione del film è assolutamente necessario), ma la preparazione del piatto è esso stesso stimolo per i nostri palati. Quella preparazione e l’incrocio di sguardi tra gli amanti che l’accompagna rende chiara la natura di un sentimento amoroso profondo ma perennemente alla ricerca di un equilibrio.
Sotto tutta questa meraviglia visiva non poteva mancare un bel tappeto musicale caratterizzato dalla suggestiva prevalenza di esecuzioni al piano. A firmare la colonna sonora è Johnn Greenwood, chitarrista dei Radiohead ed ormai abituale collaboratore di PTA. Il suo lavoro si è rifà alle direzioni d’orchestra di Glenn Gould, sia del repertorio jazz degli anni ’50 che di opere di compositori classici, primo tra tutti Bach. L’interpretazione dei brani è stata affidata ad un’orchestra composta anche da 60 elementi con una distinzione tra le scene corali dove venivano impiegati molti elementi e quelle più intime affidate ad un numero ridotto di musicisti.
Johnny Greenwood si è guadagnato per la sua colonna sonora la nomination all’Oscar che va ad unirsi a quella per il film, per la regia, per i costumi e per due dei suoi meravigliosi attori: Daniel Day Lewis (Reynolds) candidato come migliore attore protagonista e Lesley Manville (Cyril) candidata come migliore attrice non protagonista. Lascia piuttosto perplessi ed un po’ amareggiati l’esclusione della giovane attrice lussemburghese Vicky Krieps (Alma) da una cinquina di attrici dalla quale facciamo però fatica a capire chi avrebbe dovuto farle posto. L’interpretazione di Alma resta comunque carica di fascino e lascia una lunga scia di seduzione nei cuori e nelle menti degli spettatori.
“Qualunque cosa tu tu faccia, falla con delicatezza” il monito che Alma rivolge a Reynolds sulla spiaggia pare che PTA lo avesse fatto già suo quando ha concepito questo film, perché l’attenzione che chiede altro non è che quella delicatezza insita nel suo nome.
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