Sofia. La parola amore non esiste

Premiato per la migliore sceneggiatura a Cannes, nella sezione Un certain regard, Sofia, opera di esordio di Meryem Benm’Barek-Aloïsi, giovane regista marocchina da anni trapiantata in Belgio, è arrivato nelle sale italiane il 14 marzo grazie alla distribuzione di Cineclub Internazionale, che con questo film conferma la sua felice vocazione per le opere di impegno civile. Il film è distribuito solo in versione originale sottotitolata, conservando così la doppia lingua marocchina e francese.

al cinema dal 14 marzo

La storia raccontata nel film sembra essere una delle tante che ci arrivano da paesi di forte tradizione patriarcale e l’articolo della costituzione che viene citato in apertura, nel ricordarci che la legge prevede una pena fino ad un anno di reclusione per chi consuma atti sessuali al di fuori del matrimonio, getta subito le basi di un racconto di denuncia in cui gli individui si sentono sopraffatti da leggi arcaiche che ne limitano fortemente la libertà. Ma nulla è come sembra e la regista saprà rimescolare le carte e sorprenderci continuamente.

sofia

Sofia è una timida ventenne che per nove mesi ha negato persino a se stessa la verità di una gravidanza che la sua famiglia non avrebbe mai potuto tollerare, ma quando le si rompono le acque dovrà affrontare il peso delle sue responsabilità davanti alle quali mostrerà una insospettabile capacità di sovvertire le cose e farsi artefice del proprio destino. La prima parte del film è quella della scoperta della raggelante verità, dell’aiuto che, tra mille bugie ai familiari, le offre sua cugina Lena, certamente il personaggio più limpido dell’intero racconto, e del lungo peregrinare per ospedali alla ricerca di qualcuno che chiuda un occhio davanti a quella gravidanza “illegale”. Nei successivi passi che Sofia dovrà compiere con l’aiuto dell’immancabile Lena, e successivamente anche della madre e della zia, ci sarà l’individuazione del padre e la considerazione di un eventuale matrimonio riparatore che possa scongiurare sanzioni penali.

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Il titolo fa riferimento a colei che è praticamente in scena per quasi tutta la durata del film, ma i personaggi femminili possono assurgere tutti al ruolo di protagonista rivelando i loro caratteri ed i loro obbiettivi che sembrano decisi a raggiungere ad ogni costo. Film di donne, verrebbe da dire, ma non necessariamente un film che rivendica l’affermazione di una femmina sottomessa rispetto ad un maschio egoista e sopraffattore. Gli uomini del film sono carnefici, ma anche povere vittime; tra tutti vale la pena di soffermarsi sul personaggio di Omar, ragazzo schivo e taciturno, intorno alla cui identità lo spettatore sarà costretto a prendere posizioni differenti e a mutare spesso i propri sentimenti. Sofia abita in un quartiere benestante di Casablanca, ma con il suo ingresso nella casa di Omar, residente invece nel più popolare e degradato quartiere di Derb Sultan, inevitabilmente mette in moto il confronto tra differenti classi sociali che finiscono per essere accomunate dall’ambizione e della ricerca di un miglioramento che ha il sapore del riscatto.

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Nulla è come sembra ed il ribaltamento dei ruoli è sempre dietro l’angolo. Il film di denuncia cede così progressivamente il campo al cinema morale e in questo senso sono evidenti gli echi del cinema iraniano di Ashgar Farhadi e di Vahid Jalilvand. Nel vagare per ospedali c’è anche traccia delle traversie patite dai giovani amanti di Disappearance di Ali Asgari (altro interessante autore iraniano passato due anni fa a Venezia nella sezione Orizzonti) così come nei conviviali discorsi fatti a tavola dalla sua famiglia con l’illustre ospite proprio mentre nel corpo e nel cuore di Sofia si compie il dramma è possibile rivedere una delle scene più belle di 4 mesi 3 settimane 2 giorni di Christian Mungiu.

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La maggior parte degli attori protagonisti sono non professionisti ma appaiono tutti perfettamente a loro agio anche accanto ad una star affermata come Lubna Azabal (qui nei panni della zia), che ricordiamo soprattutto per la magnifica interpretazione ne La donna che canta di Denis Villeneuve. Le riprese seguono la tecnica del pedinamento, con largo uso della camera a mano, ma non mancano bellissme inquadrature fisse in cui la regista schiera Sofia al centro della scena con una coperta tirata sul capo a formare un velo e la sua creatura tra le braccia come a rievocare gli affreschi di Madonna con Bambino, ma si tratta solo di un crudo gioco di contrasti perchè da tutta questa storia l’amore esce tremendamente sconfitto ed ogni volta che viene citato è solo per essere negato.

/// il trailer ///

 

 

 

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